Un innato talento per la cucina coltivato attraverso un originale percorso autoformativo.
Dolomieu: il luogo della bellezza e della ricerca gastronomica inventato dalla famiglia Zambotti e dal 2013 griffato con la Stella Michelin.Prima scuola frequentata, i fornelli di casa dove il piacere del buon cibo è sempre stato regola quotidiana. Scuola superiore sui libri dell’arte culinaria, quelli dell’abc e dei fondamentali insieme ai volumi firmati dai grandi chef. Poi, “l’università” segnata dall’incontro con Igles Corelli e dal debutto nel mondo dell’alta cucina. Parliamo di Davide Rangoni, lo chef veneto che dall’inverno 2018/2019 ha guidato la brigata del “Dolomieu” fino all'inverno 2022.
La cucina di Rangoni è territoriale e personale, un’equilibrata partitura tra profumi locali e sapori lontani, armonizzata con materie prime d’eccellenza, ricercate con attenzione. E una predilezione per il regno vegetale. Nei suoi piatti non manca mai la presenza, discreta o con un ruolo da protagonista, di un’erba selvatica o una verdura dell’orto.
Quando e come è nata la sua passione per la cucina e la ricerca gastronomica?
Tutto inizia da ragazzo. Avevo 15 anni, frequentavo un istituto tecnico e dopo la scuola, durante il fine settimana, andavo in un ristorante vicino a casa ad aiutare in cucina. Da quel momento non ho più smesso! Ho capito subito che quel lavoro mi apparteneva. Mi piaceva così tanto che, finita la scuola superiore, non ho mai pensato di voler fare altro se non imparare questo mestiere, nato per passione anche di famiglia. Le mie nonne, Rina e Lucia, erano delle meravigliose donne di cucina e mamma Maurizia mi ha sempre fatto mangiare bene e sano.
Nel corso della sua carriera quali sono state le esperienze e i maestri che le hanno insegnato di più?
Sono un autodidatta. Ho imparato dalla pratica davanti ai fornelli abbinata ad un attento percorso conoscitivo sulle materie prime, fino al momento in cui ho conosciuto Igles Corelli (maestro della ristorazione italiana e volto noto di “Gambero Rosso Channel” con il suo programma “Il gusto di Igles”, ndr). È stato il mio primo grande maestro. L’ho conosciuto quando era l’anima del ristorante 1 Stella Michelin “La Locanda della Tamerice” nelle valli di Ostellato in provincia di Ferrara. Mi ha insegnato che non conta la ricetta, ma il modo di pensare. Grazie a lui ho aperto la mente su un mondo di possibilità e combinazioni. Dopo lo svezzamento con Igles, il passo successivo me lo ha indicato Bruno Barbieri nell’esperienza al ristorante “Arquade” 2 Stelle Michelin, nel veronese. A lui devo l’arte del servizio e il metodo di lavoro. Per apprendere l’arte dell’hotellerie, fondamentali sono stati gli anni da sous-chef con Andrea Costantini e al Relais&Chateaux Villa Cordevigo.
Negli ultimi anni il mondo del gourmet è diventato anche protagonista dei media, dalla televisione ai social. C’è qualche star-chef che considera un esempio da seguire?
Ho avuto la fortuna di conoscere Bruno Barbieri, che ad un certo punto della sua carriera professionale ha compiuto il salto di categoria da chef a star-chef. Nel corso del tempo ha acquisito un bagaglio di conoscenze tecniche e culinarie straordinario, accompagnato da un’incredibile verve e capacità di esprimerlo. Penso che solo professionisti come lui, con esperienze pregresse importanti, possano ambire a diventare anche delle star.
Ancora una volta riceviamo la conferma che a Madonna di Campiglio il gourmet non è un fuoco di paglia, ma una realtà consolidata
Quali sono le sue ispirazioni e i suoi elementi irrinunciabili?
Ogni elemento dato dalla natura, di qualsiasi genere sia, è per me fonte di ispirazione. Non rinuncio mai all’attenzione per il vegetale sempre rappresentato, attraverso una portata vegetariana, anche negli antipasti, e all’olio evo. L’accoglienza al “Dolomieu” ha il sapore del pane “home made” accompagnato dalla degustazione di frangiture selezionate dai migliori produttori, in particolare quelli del Lago di Garda.
Come definirebbe la sua cucina in una parola? C’è una ricetta che la rappresenta in modo particolare? E il suo piatto preferito nella vita quotidiana?
Chi racconta la mia cucina la definisce con una parola: equilibrio.
Cerco di fare in modo che ogni elemento nel piatto non sovrasti l’altro. C’è un piatto, inaspettato, che ormai mi rappresenta. Brulè al Taleggio, alchechengi senapate e croccante di sesamo. È un formaggio? È un dolce? Non solo un dolce? Lascio a voi pensare la risposta. Nella vita di tutti i giorni, sul gradino più alto del podio, metto la pasta dei pastifici artigianali insaporita con Trentingrana e olio evo. È un piatto che mangerei sempre, a qualsiasi ora.
Cosa sta portando, di nuovo e diverso, nella sua cucina l’esperienza professionale di Campiglio?
Ho cercato di comprendere a fondo il territorio attraverso un percorso di ricerca che mi ha donato numerose scoperte: sorprendenti erbe selvatiche, sapienti artigiani, piccoli produttori di grande qualità che ho amalgamato con le mie conoscenze e tecniche di cucina fino ad arrivare a intitolare il mio menu degustazione “All’orizzonte: dal sentiero dolomitico senza una meta”. È la traduzione gastronomica di un pensiero: ciò che vedo dalle cime delle Dolomiti di Brenta fino alla linea del tramonto. Intreccio memoria locale e suggestioni personali portando nei miei piatti anche sapori, profumi e consistenze che arrivano da lontano.
Sul “Dolomieu” brilla 1 Stella Michelin dal 2013. In che termini questo riconoscimento è un valore aggiunto per la proposta gastronomica di un ristorante?
I valori sono più di uno. Anzitutto economico e collettivo che riguarda il locale nella sua completezza. È anche un riconoscimento morale per tutti: i proprietari, lo chef, il personale, la destinazione stessa. Personalmente, essere riuscito, al mio arrivo, a riconfermare la stella assegnata al “Dolomieu”, è stata una grande soddisfazione, in parte inaspettata, che mi rende incredibilmente fiero e grato verso tutti coloro che mi hanno dato modo di mantenere questo riconoscimento.
Vivo molto d’istinto e d’animo
Tra una stagione e l’altra, i periodi di pausa sono solitamente impegnati dagli chef per fare ricerca ed esperienze in giro per il mondo. Come ha vissuto le settimane dell’emergenza sanitaria e del lockdown?
Nessun viaggio di studio, nessun incontro e confronto fra colleghi! Stop per tutto! La mia frenesia quotidiana si è fermata. Ho dato valore al tempo insieme alla mia compagna, riflettuto su quanto fatto fino ad oggi e pensato a come sarà possibile ripartire, anche se non ho voluto arrovellarmici più di tanto.
Oggi siamo parte di una vita sospesa che sta interferendo negativamente sull’economia, in particolare su alcuni settori come l’alberghiero e la ristorazione. Cosa pensa potrà accadere in vista dell’estate?
Spero nel buon senso di tutti noi, nel rispettarci reciprocamente di più, visto l’accaduto, e nel poterci sentire di nuovo liberi! Faccio fatica ad immaginarmi restrizioni nei nostri settori. Amo condividere tempo e passione con la mia brigata, i miei collaboratori più stretti che sono la mia sicurezza: il mio Sous Chef Alessandro Peron, la pasticcera Martina de Vit e poi Francesco Polla e Ilaria Malerba. Amo il rito di accoglienza verso il cliente e lo scambio di saluti al tavolo. Come farne a meno? Spero nella possibilità di ritornare a essere tutti vicini, dando più valore alla nostra vita.
Quali sono gli obiettivi futuri della sua cucina? Ha ancora traguardi da raggiungere?
Il futuro della mia cucina sinceramente non lo conosco, spero però di mantenere la capacità di emozionare i commensali e di continuare a regalargli quel momento di leggerezza che si gode seduti al tavolo del “Dolomieu”.
Il traguardo? Forse un sogno. Quello di ogni grande chef: le tre Stelle Michelin.
Foto: Marina Spironetti
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