Fuma ancora il “poiòt”
Fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, quella del carbonaio è stata l'attività principale degli abitanti di Bondone.
il suono del carboneÈ il momento della prova. Il processo di lenta combustione della legna avvenuto all’interno del poiòt (la carbonaia, detta anche poiàt) è concluso. Per capire, però, se la legna si è trasformata in carbone di qualità, c’è ancora un esame da compiere. Dario Scalmazzi, di famiglia carbonaia e carbonaio lui stesso, procede alla verifica. Estrae dal poiòt due pezzi di legna carbonizzata, li stringe tra le mani e li colpisce l’uno contro l’altro. “Senti?”, domanda. Ad ogni colpo si diffonde un suono vibrante, quasi una musica.
i carbonai di Bondone“È un buon suono - dice Dario - è fatta, il carbone c’è”. E l’embarbesà (colui che ha il viso sporco di fuliggine, il carbonaio) è soddisfatto. Siamo in Valle del Chiese, a Bondone, il caratteristico paese con una suggestiva vista sul lago d’Idro che fa parte del celebre circuito “I borghi più belli d’Italia” per le sue particolarità storiche. Gode di una posizione strategica al confine con la provincia di Brescia e vanta la presenza di un imponente maniero che si affaccia a picco sul lago: Castel San Giovanni, appartenuto alla potente famiglia dei Lodron.
Tuttavia la sua unicità si trova nelle vicende dei suoi abitanti, fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso carbonai, secondo un mestiere vecchio di secoli, forse di millenni, tramandato di famiglia in famiglia. Sì, perché il lavoro di carboner spettava agli uomini che, quando partivano per andar a carbonar e rimanevano per tanto tempo lontani da casa, erano però seguiti da tutta la famiglia. Quanto quella vita e quel lavoro fossero duri e faticosi, ma vissuti con dignità, ce lo dimostra l’orgoglio con il quale gli ultimi carbonai di Bondone continuano ad accendere il poiòt. Lo fanno tre volte l’anno, a Plos, una località poco sotto il paese, e in occasione della “Festa del carbonaio” a malga Alpo, l’ultima domenica di luglio.
Fuma, a Plos, il poiòt dei carboner di Bondone. L’ultima carbonaia dell’anno, accesa il 2 ottobre 2023, arde di ricordi e saperi ancestrali che tengono acceso il filo della memoria attraverso il tempo e le generazioni.
Tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, quando i monti più alti erano ancora coperti di neve, le famiglie dei carbonai partivano per le valli trentine e bresciane dove rimanevano per circa otto mesi, prima a raccogliere legna, di abete o di faggio, poi a peparare le cataste e infine e trasformare la legna in carbone attraverso il processo di combustione che si compie all’interno della carbonaia.
I luoghi dedicati alla raccolta della legna e alla produzione del carbone, secondo le testimonianza dei carbonai più anziani, si trovavano in montagna, a 1500-2000 metri di altezza e si lasciavano solo in occasione del 9 settembre, un giorno speciale dedicato alla processione della “Madonna col bambino in braccio” da Bondone al capitello di Plos, in ricordo di un voto legato alla peste, e poi con l’inverno ormai imminente, l’8 dicembre e, finalmente, il ritorno a casa.
Il carbone prodotto (“per ottenere un quintale di carbone servivano almeno cinque-sei quintali di legna” e una famiglia ne poteva produrre dai 300 ai 600 quintali in una stagione di lavoro, testimonia Dario Scalmazzi nel libro Le terre della fatica. Viaggio nell’anima del Trentino, di Alberto Folgheraiter e Gianni Zotta) veniva venduto ad acquirenti della provincia di Brescia per l’impiego nell’industria, fino alla sostituzione del carbone con i derivati del petrolio. Il prezzo di vendita, sempre nei ricordi di Dario Scalmazzi, era di 22 lire al chilo.
LA COSTRUZIONE DEL “POIÒT”La carbonaia si costruisce su un ampio spazio circolare che si chiama aiòl o aiàl. Al suo centro viene posizionato un palo attorno al quale è costruito un “castello”, o impalcatura, con piccoli legni intrecciati che dal basso salgono alla cima. Tutt’attorno sono accatastati con precisione e in più “giri”, uno a seguito dell’altro, i rami di legna, più grandi e più piccoli, raccolti nel bosco.
Ad ogni giro il poiòt diventa più grande e definisce la sua forma arcaica, una cupola che genera calore e trasforma la legna in nero carbone. In un successivo passaggio il carbonaio prende della terra e delle foglie e chiude, con cura, gli spazi vuoti tra i rami. Infine, in basso, realizza un contorno in legni di abete con funzione di contenimento. Quando la carbonaia è pronta il palo viene tolto e dal foro lasciato momentaneamente aperto il carboner comincia ad inserire le braci precedentemente accese. Il poiòt inizia così a bruciare, lentamente, per l’assenza di ossigeno. La combustione continuerà per quattro giorni e tre notti, ma potranno essere di più o di meno a seconda del quantitativo di legna da trasformare. Il carbonaio dorme vicino al poiòt vigilando su come si comporta e dandogli di tanto in tanto un po’ di legna. “Se mangia troppo - raccontano i carbonai mentre osservano con attenzione la carbonaia - non va bene perchè significa che la legna sta bruciando troppo velocemente. Alla fine, quando non fuma più, va pulito bene, quindi togliamo e rimettiamo la terra per farlo raffreddare in attesa del mattino dopo”. Solo a questo punto, con un rastrello, si può estrarre il carbone e valutare il risultato finale.
SAGGEZZA CARBONAIAMansueto Scalmazzi, figlio di carbonai, ha imparato “l’arte” del “fare il carbone” per aiutare Dario Scalmazzi, e i pochi altri rimasti, nelle attività dimostrative. “Da questa pratica - dice - ho capito che nella vita non si finisce mai di imparare. La carbonaia è costruita seguendo sempre lo stesso procedimento, ma una catasta di legna va in una maniera, quella successiva in un’altra, un poiòt viene bene, l’altro metà cotto. Perché fosse vendibile non doveva uscire legna, ma carbone, altrimenti non lo si poteva commerciare”.
UN FORTE LEGAMEIl legame di oggi tra Bondone e la tradizione carbonaia continua ad essere forte. Lo dimostrano l’attenzione costante da parte dell’Amministrazione comunale del paese, le iniziative culturali promosse dall’Associazione culturale “I carboner” e l’attività di ricerca e divulgazione condotta in collaborazione con il Muse (Museo delle scienze di Trento). Il Comune di Bondone ha ricordato il mestiere del carbonaio nel proprio Statuto ed è stato promotore del monumento “Al carboner”, opera in bronzo realizzata da don Luciano Carnessali nel 2002, nella piazza del paese. Il poiòt è anche presente nello Stemma comunale insieme alla torre del Castello di San Giovanni con il monte Calva e il lago d’Idro e al leone in maestà che ricorda l’antico confine tra il Principato vescovile di Trento e il Veneto.
Oggi, come tanto tempo fa, con il viso sporco di fuliggine, fatica e dignità