Il meraviglioso mondo di Antonella

Autore: Marina Spironetti

La scultrice Antonella Grazzi si racconta in conversazione con Marina Spironetti.

Non si poteva scegliere giornata più grigia per quel primo incontro con Antonella Grazzi, quasi un anno fa. Arrivo a Praso una mattina d’autunno inoltrato, sotto un cielo color latte, con l’umidità nei pensieri e mani e piedi gelati.

Antonella mi accoglie in tenuta da lavoro, con delle vistose cuffie antirumore gialle al collo, scrollandosi di dosso la segatura che ha un po’ dappertutto, dagli abiti ai capelli.

Nell’intimità del laboratorio, la luce calda e il profumo del cirmolo fanno dimenticare in fretta le rigidità dell’esterno. Gli attrezzi appesi alle pareti in file ordinate si alternano ai bozzetti – corpi, volti, mani che si intrecciano. Sul tavolo da lavoro, la motosega appena spenta accanto a un tronco da cui emergono lentamente le forme di una figura femminile – le curve morbide dei fianchi, le onde dei capelli che scendono lungo la schiena, i lineamenti del viso ancora abbozzati eppure già gentili.

Le donne sono al centro del suo lavoroBasta guardarsi intorno per capire che le donne sono al centro del suo lavoro – dai modelli in creta su una mensola ai disegni sparsi sul tavolo. In un angolo in penombra, un’altra scultura lignea di una ragazza. Seduta, i capelli raccolti. Semplice ed elegante, con qualcosa che mi riporta agli studi su carta per la Piccola Ballerina di Degas. 

Perché, dunque, le donne? “Alla base c’è una sofferenza di fondo. C’è la fatica di ritagliarsi uno spazio nel mondo e di conciliarlo con il resto. Con la famiglia e con i figli che ho desiderato avere, con il lavoro”, spiega. Mi racconta di come non sia stato un cammino semplice. Non c’era mai abbastanza tempo. Per riuscire a fare tutto, a volte, ce ne vuole il doppio di quello che serve a un uomo. “Una donna porta sulle spalle tanti pesi, è naturalmente incline a sopportare. Allo stesso tempo, però, possiede una visione aperta, dà forma al mondo”. E Antonella, a sua volta, dà forma alle sue creature, sgrossando i tronchi a colpi di motosega e flessibile, con le braccia che si fanno pesanti, per poi addentrarsi nel legno con coltellino e scalpello fino a imprimergli le sfumature più impercettibili.

Le mie donne ti abbracciano, ti danno tutto

“Le mie donne scolpite sono tondeggianti, accoglienti. Ti abbracciano, ti danno tutto. Hanno una grande serenità, conservano femminilità e dolcezza ma sono anche fermamente tenaci, forti, orgogliose. Hanno un piglio che mi piace, sono proprio toste!”, esclama.

Quando la scorsa estate ci ritroviamo in videochiamata, mi racconta di un nuovo progetto – questa volta si tratta di una scultura maschile a figura intera. La sensibilità della donna, però, resta. “È un lavoro per una collettiva. Ogni artista deve parlare di un personaggio. Io ho pensato a Padre Fabrizio Forti, cappellano del carcere di Trento e fondatore della mensa dei cappuccini. L’ho conosciuto tanti anni fa, quando faceva musicoterapia.

Era sempre dalla parte degli esclusi, che fossero i poveri, i carcerati o i malati di mente”.

Serviva un legno appropriato e Antonella ha scelto un tronco di cirmolo di centovent’anni, adatto per raccontare anche i dettagli più minimi. “Spero di riuscire a dargli l’espressione che aveva lui, la sua luce”. Il volto le si allarga in un sorriso. 

Sono tanti i legni con cui lavora – dal tiglio, che ama per il suo colore, alla betulla, al larice. Passando per i legni duri – noce, melo, pero – dove non si può forzare la mano più di tanto. “Mi fanno tribolare, ma sono bellissimi”, dice. E poi c’è l’agrifoglio, che con quel suo bianco luminoso “ha in sé quasi un’idea di marmo”. 

Proprio il marmo è un altro amore di Antonella. La sua natura “morbida” lo rende più semplice da lavorare rispetto ad altre pietre con un carattere più forte, come il granito. E le dà grande soddisfazione, particolarmente quando lo lucida e quello sembra ringraziarla con la sua lucentezza. “Sul legno mi sento a casa, sono tranquilla. La pietra invece rischia sempre di spaccarsi, possono saltare dei pezzi. Sei su un terreno imprevedibile. Bisogna lavorare con calma, si va a una velocità diversa”.

Le pietre – come il legno, del resto – sono quasi sempre quelle del suo territorio, trovate spesso sul suo cammino durante lunghe passeggiate per le valli. Sono sassi che la ispirano – per la forma, per il colore, per la loro energia. 

“Prendo solo quel poco che penso mi possa servire, con rispetto per la natura che mi circonda. E poi le tengo un po’ qui, le osservo, mi lascio ispirare. E aspetto che il tempo sia maturo per metterci mano”.

Adesso che ha smesso di lavorare e che i figli sono grandi, di tempo ce n’è in abbondanza. Finalmente. E le mani di Antonella hanno sempre una gran smania di fare – dal laboratorio all’orto. Le ricordo quando, al termine di quel nostro primo incontro, mi ha congedato con due borse di marmellata, succo d’uva e noci. Le persone che vivono a stretto contatto con la natura, che sono radicate nella terra, mi sembrano avere una percezione più profonda di ogni cosa. 

Il mio mondo è tutto“Il mio mondo è tutto”, dice quando stiamo per concludere la nostra videochiamata. “Non mi vedrei da nessun’altra parte. Con i miei pomodori e la mia verdura, con le vigne e con i fiori sul balcone. Anche questo, credo, significa cercare un contatto, trovare un senso”.

Foto di Marina Spironetti.

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